Dopo
aver inviato un paio di e-mail alla Kodak e dopo una veloce
conversazione telefonica col Sig. Trezzi della filiale di
Roma, nel giro di pochi giorni, mi sono visto recapitare tre
caricatori della nuova, attesissima pellicola Super 8, la
Ektachrome 64 ISO Tungsten.
I fogli tecnici della Kodak descrivono questa emulsione, mutuata
dal mondo fotografico professionale, come una pellicola di
rapidità medio-bassa, caratterizzata da eccellente
resa cromatica, specie dei toni neutri, granulosità
molto fine ed elevata nitidezza. Essa è tarata per
un uso in luce artificiale con lampade al tungsteno a 3.200°
Kelvin; pertanto si tratta di una invertibile di tipo "B",
come in genere sono le pellicole professionali. Essa è
inoltre dotata di rimarchevole assenza dell'errore di reciprocità
per cui è possibile esporla con tempi che vanno da
1/10.000 di secondo fino a 10 secondi senza necessità
di compensare tempi e filtraggio; questo farà senz'altro
felici coloro che utilizzano temporizzatori e scatti di lunga
posa nei loro film...
Sempre dai fogli tecnici, si vede che le curve caratteristiche
mostrano grande coerenza e neutralità nella resa dei
tre colori primari (sintesi additiva), fino al "piede"
(estremo basso) delle curve stesse, mentre la resa di questi
è leggermente diversa in prossimità della "spalla"
(estremo alto).
La curva MTF (indicativa della nitidezza) mostra una risposta
del 100% fino a una frequenza spaziale di 10 cicli per millimetro,
mentre a 20 e a 30 cicli, si ha ancora una risolvenza rispettivamente
del 70 e 50%. Davvero "intrigante".
Ma adesso lasciamo da parte la teoria e cominciamo a parlare
di come ho strutturato la prova. Essa comprendeva tre test
principali, ciascuno dei quali mirava a valutare rispettivamente,
compatibilità esposimetrica, resa cromatica e latitudine
di posa; a queste ho affiancato una breve serie di prove libere,
a simulazione di un uso "normale", laddove le precedenti
erano intese per lo più a mettere in difficoltà
la pellicola. In quasi tutte le prove ho scelto soggetti statici
e ricchi di dettagli per saggiare contemporaneamente la definizione
apparente.
Quello che segue è una descrizione dettagliata della
motivazione di ogni prova e delle condizioni in cui è
stata svolta. Va precisato che i giudizi espressi in fondo
a ciascuna prova, tengono conto innanzitutto delle esigenze
del superottista che arriva anche a proiettare in pellicola
il proprio film, piuttosto che a postprodurlo e a fruirne
in video. Chiaro che per costui la presenza di eventuali dominanti
o altri problemi di natura fotografica sono molto più
fastidiosi dell'appassionato che monta e sonorizza in video
dopo aver acquisito in pellicola, poiché quest'ultimo
ha a disposizione una gamma praticamente infinita di correttivi.
Altra precisazione riguarda la modalità di acquisizione
dei fotogrammi qui visibili, proiettati su schermo matt tramite
Elmo GS 1200 e ottica 1.0 alla massima focale di 30 mm, lampada
da 200 W al massimo e telecamera MiniDV. Purtroppo alcuni
fotorammi risentono in misura non trascurabile dell'inevitabile
compensazione operata dalla telecamera a livello esposimetrico,
per cui alcune differenze presenti sulla prova di latitudine,
già piccole sulla pellicola, risultano a malapena rilevabili
sullo schermo del PC. Per la taratura del bianco, ho usato
una tantum uno spezzone di E 64 completamente trasparente,
per avere la massima neutralità nella resa dei colori
in tutte le prove.
Prova
"A": Compatibilità esposimetrica - Considerazioni
preliminari
I tre caricatori inviati per le prove presentavano una tacca
per l'impostazione automatica della sensibilità pari
a 7 mm, ossia identica a quella dei caricatori contenenti
pellicola K40. Queste tacche, la cui ampiezza è regolamentata
dalle norme SMPTE n° 166, stabiliscono, fra l'altro, che
con 7 mm la cinepresa considera una sensibilità di
40 ISO con filtro di conversione disinserito, o di 25 con
filtro inserito (per compensare l'assorbimento del filtro
stesso). Di conseguenza qualsiasi cinepresa S/8 (ad esclusione
delle Beaulieu e delle Leicina) imposterà questa sensibilità,
nonostante la pellicola contenuta nella cartuccia sia in effetti
più rapida di 2/3 di stop. Pertanto la prima prova
da condurre era senza dubbio quella tesa a verificare il comportamento
di questa emulsione con una sovraesposizione costante del
predetto valore, raffrontandolo in tempo reale col risultato
che si sarebbe potuto ottenere se la cinepresa avesse automaticamente
considerato la sensibilità effettiva di questa pellicola,
possibilità offerta da quasi tutte le cineprese di
fascia alta.
Le cineprese utilizzate per questo primo raffronto sono le
seguenti:
a)
Leicina Special, con ob. Schneider Optivaron F:1.8/6-66 mm
b) Canon 1014 XL-S, con ob. Canon C-8 F:1.4/6.6-65 mm*
c) Sankyo XL-620, con ob. F:1.2/7.5-45 mm*
Nel
caso "a" la variazione per compensare l'effettiva
sensibilità della pellicola non presenta problemi,
poiché l'impostazione viene effettuata manualmente
con un apposito selettore esterno alla macchina, piuttosto
che con i sensori o microswitch consueti del sistema Super
8 (cfr. articolo relativo).
Nel caso "b" la variazione potrà ottenersi
sia per mezzo di un potenziometro che introduce una variazione
fissa di esposizione di ±1 diaframma (a passi di 1/3),
sia allargando con un cutter la tacca esposimetrica del caricatore
fino a che i numerosi sensori presenti internamente al vano
pellicola rilevino la corretta sensibilità (la tacca
dovrà essere lunga 10 mm invece di 7).
Nel caso "c", l'unica variazione possibile sarà
manuale ossia, effettuata la misurazione in automatico e rilevata
l'apertura impostata dalla macchina, si procederà successivamente
a impostare un valore di diaframma più chiuso di 2/3
di stop. Ciò perché all'interno del vano caricatore
di questa cinepresa è presente un solo sensore (microswitch)
che la rende in grado di "discernere" fra due soli
tipi di sensibilità: 40 ISO o 160 (la rapidità
della vecchia Ektachrome, eliminata nel 1996). Alla luce del
fatto che non solo queste cartucce di pre-produzione, ma anche
i caricatori ufficiali commercializzati da pochi giorni avranno
tacche da 7 mm, per tutte le cineprese come questa, è
consigliabile far ritarare l'esposimetro agendo sul trimmer
interno. Cineprese che dovrebbero essere ritarate, citando
a braccio le prime che mi vengono in mente, sono anche le
Nizo della serie Integral, la Canon 514 XL in tutte le versioni
(e modelli inferiori), e in generale, tutti i modelli più
semplici delle varie case. Comunque sul numero attuale della
rivista "Schmalfilm" è presente un elenco
esaustivo.
E' facile comprendere il perché della scelta di cui
sopra: mantenendo la tacca da 7 mm, il peggio che si otttiene
è la sovraesposizione di due terzi di stop, tutto sommato
un peccato veniale, come si può vedere dai provini.
Diverso sarebbe stato il discorso se si fosse applicata la
corretta tacca da 10 mm, perché una certa "oligarchia"
di macchine avrebbero rilevato l'esatta sensibilità
dell'emulsione, ma le stesse che hanno problemi con la tacca
da 7 mm, sarebbero state "ingannate", perché
avrebbero rilevato la presenza di una 160 ISO, e in questo
modo avrebbero provocato una sottoesposizione molto più
evidente di quanto è la attuale sovraesposizione di
cui si è già detto. Insomma si è scelto
il male minore.
Condizioni
della prova
Ripresa
in esterni, cielo uniformente coperto per tutta la durata
della prova, effettuata alle ore 10:00 di giovedì,
11 agosto 2005, filtro Kodak 85 inserito (assorbimento compensato
automaticamente), macchina su cavalletto.
La prova è consistita in scatti di 10" ciascuno,
di un soggetto statico (castello rinascimentale), dai colori
uniformi e con scarsi contrasti di luce, effettuati con ciascuna
delle succitate cineprese e per ciascuna delle due modalità
(automatismo totale=A e automatismo "corretto"=B),
nel seguente ordine:
Leicina A (F = 4), B (F= 4 - 5.6)
Canon A (F = 5.6), B (F= 5.6 - 8)
Sankyo A (F = 5.6), B (F= 5.6 - 8)
Focale comune: 10 mm
Per assicurare la coerenza fra i vari fattori che potrebbero
alterare i risultati (tolleranze di produzione, variabili
di stoccaggio e/o trattamento), è stato utilizzato
il medesimo caricatore per tutte e tre le macchine.
RISULTATI:
tutto sommato la sovraesposizione dovuta a quanto detto, diventa
evidente solo raffrontando i risultati fianco a fianco; con
un utilizzo comune non è poi molto fastidiosa. Ma questo
può variare anche a seconda dei gusti personali e della
"tolleranza" individuale oltre che delle ottiche
(v. prova Sankyo che è quella con le differenze più
marcate, specie nel colore). Inoltre in caso di soggetti maggiormente
illuminati o dettagli contrastati il discorso cambia, per
cui potendo, è sempre consigliabile esporre la "64"
alla giusta sensibilità, dopo un periodo di "conoscenza".
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Leica
in automatismo totale (A)
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Leica
corretta (B)
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Canon
in automatismo totale (A)
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Canon
corretta (B)
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Sankyo
in automatismo totale (A)
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Sankyo
corretta (B)
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Prova
"B": colorimetria - Considerazioni preliminari
Il Super 8 nacque come standard di ripresa facente uso di
pellicole tarate per luce al tungsteno Tipo A, il che vuol
dire che la temperatura cromatica ideale è (era) di
3400° K. Per filmare in luce diurna è solitamente
necessario utilizzare il filtro di conversione ambra tipo
Kodak 85 che abbassa la temperatura cromatica dai circa 4500°
- 6500° K della luce diurna ai 3400 richiesti; questo
filtro è normalmente incorporato in qualsiasi cinepresa
S/8 e viene rimosso quando si sposta l'apposito selettore
dalla posizione col simbolo del sole a quella con la lampadina.
La nuova Ektachrome 64 T è bilanciata per luce al tungsteno
tipo B, ossia a 3200° K; ciò implica che filmando
in luce diurna e col filtro normalmente presente, si abbia
una lieve discrepanza rispetto alla temperatura cromatica
richiesta, per cui l'immagine potrebbe tendere verso una lieve
dominante fredda, specie nelle ore centrali del giorno, quelle
in cui la temperatura cromatica può facilmente superare
i 6000° K. Infatti per avere la certezza che questo non
si verifichi se non in misura trascurabile, occorre usare
un altro filtro e precisamente il Kodak n° 85 B.
Per
queste ragioni il presente test prevedeva lo scatto di spezzoni
di 10"+10"di durata, con soggetti contenenti una
certa quantità di bianchi (anche in penombra per non
rischiarne la "bruciatura"). Nel primo scatto di
ciascuna coppia, ho utilizzato il filtro incorporato nella
cinepresa (85), mentre nel secondo, l'ho escluso e ho avvitato
sull'obiettivo il filtro di conversione specifico per questa
emulsione (85B) di fabbricazione Tamron.
Le coppie di prove sono state ripetute sul medesimo caricatore
e col medesimo soggetto in diverse ore del giorno, lavorando
in automatismo di esposizione. L'uso della sola cinepresa
Leica, con impostazione manuale della sensibilità,
ha consentito di far lavorare la Ektachrome 64T nelle migliori
condizioni esposimetriche.
La
prova è stata effettuta il 14/8/05, in esterni in tre
diverse ore della giornata, con cinepresa Leicina e ottica
Optivaron, alla focale di 6 mm, cadenza di ripresa di 25 fps
e le seguenti aperture di diaframma (media ponderata): F 8
(ore 10), F 11 (ore 14), F 4 (con 85) ed F 4-2.8 (con 85/B)
(ore 18). La distanza dal soggetto è stata di ca. m
5, il sole era splendente e il cielo terso, assolutamente
privo di nubi. Macchina su stativo. Un'ulteriore coppia di
scatti è stata effettuata con illuminazione artificiale,
mediante il classico faretto da 1000 W al tungsteno, e temperatura
cromatica di 3400° K: la prima era priva di filtro (diaframma
automatico, F= 8-5,6), mentre la seconda era filtrata con
Kodak 81A per ottimizzare la sorgente luminosa alla taratura
della pellicola (diaframma 5,6).
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Ore
10:00 con 85
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Ore
10:00 con 85 B
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Ore
14:00 con 85
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Ore
14:00 con 85 B
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Ore
18:00 con 85
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Ore
18:00 con 85 B
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Tungsteno
3400 K senza filtro
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Tungsteno
3400 K con 81 A
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Prova
"C": latitudine di posa
Per descrivere questa prova non sono necessarie considerazioni
preliminari se non per spiegare, a chi fosse digiuno di conoscenze
fotografiche, cos'è la latitudine di posa.
Normalmente gli esposimetri incorporati nelle cineprese (e
non solo quelli), non vedono la scena da fillmare come un
"soggetto", ossia con le varie parti che la compongono,
i chiari e gli scuri, le forme ecc., bensì come una
certa quantità di luce che mediamente entra dall'obiettivo.
Di conseguenza l'esposizione di un'immagine sulla pellicola
non potrà mai essere perfetta per ogni dettaglio che
la compone, a meno che non si fotografi o riprenda un soggetto
assolutamente uniforme. L'esposizione andrà mediamente
bene, ma nulla eslcude che ci sia qualche elemento più
o meno sovra-sottoesposto. Ebbene l'entità di questo
"errore" viene definita "latitidine di posa"
fintanto che l'immagine risultante è ancora accettabile,
leggibile per la maggior parte dei suoi elementi. In altre
parole essa descrive la capacità della pellicola di
"incassare" scostamenti più o meno rilevanti
dall'esposizione ottimale. Maggiore questa capacità,
maggiore la L.d.P., più semplice filmare scene con
forti contrasti senza avere le alteluci trasparenti e le basseluci
completamente nere (in entrambi i casi: prive di dettagli).
Va detto anche che le pellicole invertibili sono intrinsecamente
meno tolleranti delle negative e perdonano di più sul
versante della sottoesposizione (anche un paio di diaframmi,
mentre in genere uno stop di sovraesposizione può già
dare molto fastidio); le negative si comportano esattamente
al contrario, arrivando a incassare disinvoltamente anche
5 stop di sovraesposizione e poco meno sul versante opposto.
Ma in generale, guardando a questi due esempi, la L.d.P. di
una "reversal" presenta un range complessivo di
3-4 stop, mentre una negativa arriva tranquillamente al doppio.
Detto questo vediamo quali erano le condizioni della prova
(effettuata il giorno 13/8/2005 alle h 15:00 circa):
Luce: diurna filtrata con 85
Condizioni del cielo: limpido e assolato
Soggetto: strada cittadina, ricca di ombre e luci
Macchina: Leicina Special con Schneider Cinegon 10 mm, montata
su stativo
Gamma di prova: da - 3 a + 2.5 stop rispetto al valore fornito
dall'esposimetro automatico, a passi di ½ EV (in totale:
12 step)
Lettura fornita dall'esposimetro incorporato: F 8
Durata di ogni step: 5"
Velocità di ripresa: 25 fps
Risultati:
la latitudine di posa di questa pellicola, pur mostrando un
contrasto decisamente piacevole in proiezione, non è
tanto ristretta da porre particolari problemi di ripresa;
in effetti sembrerebbe ragionevole ipotizzare a occhio una
L.d.P. che si estende da - 2 a + 1.5 EV (anche questo può
variare soggettivamente), per cui almeno sotto questo aspetto
la "nuova arrivata" è più flessibile
del K40.
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-
3 stop
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-
2.5 stop
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-
2 stop
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-
1.5 stop
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-
1 stop
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-
0.5 stop
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Esposizione
"ottimale"
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+
0.5 stop
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+
1 stop
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+
1.5 stop
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+
2 stop
|
+
2,5 stop
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Altre
prove sono state condotte per saggiare le qualità di
definizione (che però sono incidentalmente apprezzabili
anche con gli esempi precedenti) e le prestazioni meccaniche,
ossia la possibilità di eseguire dissolvenze incrociate
in macchina senza inceppamenti.
Tutti
i test hanno fornito risultati molto apprezzabili, con immagini
ricche di dettaglio e grana appena un po' più visibile
della K40, ma con una struttura tale da essere meno fastidiosa
del prevedibile, poiché da un punto di vista strettamente
empirico, si "sente" che essa è latrice di
informazione ossia di dettagli, dato che non li "spappola"
affatto.
A
questo punto non si può dire che "Benvenuta Ekta",
anche se l'ultima parola dipende pure dal prezzo d'acquisto:
la K 40 è ancora reperibile a prezzi che oscillano
fra i 17 e i circa 20 Euro a caricatore (a seconda della fonte
e dei pezzi acquistati in una sola volta), sviluppo incluso;
la nuova 64, invece, ha un costo che si aggira sui 13-15 Euro
senza sviluppo, per cui si dovrà mettere in conto un
esborso aggiuntivo di almeno 9 Euro, più un altro paio
ancora per spese varie. Quindi siamo abbondantemente sopra
i 25 Euro. Pur volendo considerare la K40 come una sorta di
"economico" compromesso, non si può certo
essere felici di spendere oltre cinque Euro in più
a cartuccia, per avere una pellicola che per certi versi è
meglio di quella che andrà a sostituire. Ma per ora
si può solo sperare che sia la Kodak sia i vari laboratori
che tratteranno questa nuova emulsione, abbassino un po' le
rispettive richieste economiche, altrimenti non si finirà
mai di rimpiangere la K 40 comunque.
In conclusione non posso omettere di citare il fatto che i
tre caricatori test sono stati sviluppati dal laboratorio
Super 8 Lab, di Frank Bruinsma, il quale ha fatto letteralmente
salti mortali per consentire a tutti noi di avere i provini
in tempo per l'incontro di Petrella Salto (RI). Il plauso
naturalmente riguarda anche la qualità del trattamento,
assolutamente perfetto, con la pellicola praticamente priva
di qualsiasi tipo di difetto. Inoltre Frank sviluppa davvero
tutti i 15,24 m della pellicola di ogni caricatore e restituisce
perfino il codino col foro di stop finale e i primissimi centimetri
di film, non senza aver aggiunto una bella coda bianca di
generosa lunghezza. Ecco, l'unico appunto riguarda proprio
questa giuntura che è eseguita con il solito "patch"
adesivo da 4 fotogrammi ma su un solo lato della pellicola...
Nessuno è perfetto.