PROVA
SU STRADA: Leicina Special
Al
top della gamma S/8 del fabbricante di macchine fotografiche
senza dubbio più leggendarie al mondo, si colloca la
"Leicina Special", una delle poche cineprese a ottica
intercambiabile. Diamo quindi uno sguardo al Super 8 secondo
Leica.
ALCUNE
CURIOSITA'
Malgrado questo marchio non fosse l'unico a essersi cimentato
con la particolare tipologia di macchine a ottica intercambiabile,
la cinepresa in esame presenta delle caretteristiche che la
rendono davvero unica. Ciò non tanto per lo schema
ottico adottato; questo infatti, a parte l'attacco a baionetta
Leica M, è abbastanza comune, facendo uso di un prisma
per la visione reflex, al posto dell'otturatore a specchio
della Beaulieu, anche se, ovviamente, il prisma Leica non
è il prisma di una Chinon....
La specificità di questa macchina risiede, invece,
nella semplicità della meccanica che si traduce in
una stabilità di trascinamento davvero eccellente,
visibilmente superiore a quella della Beaulieu 4008 ZM IV,
con cui, assieme ad alcuni amici, ho effettuato test comparativi
appositi; e questo, anche utilizzando il famoso pressore GK
"Frame Master". Va detto anche che questa semplicità
si "riverbera" sull'affidabilità generale
della cinepresa: dopo decenni di utilizzo anche pesante, le
visite al centro di assistenza sono alquanto rare. Non sempre
si può affermare lo stesso per le macchine francesi,
note anche per essere piuttosto "capricciose" di
tanto in tanto. Perfino la semplice lubrificazione è
un fatto alquanto straordinario, anche dopo oltre trent'anni
di età: ho chiesto un preventivo a quattro ditte specializzate
in questo prodotto, di cui una italiana, e ho ricevuto risposte
riassumibili in base al vecchio postulato che se la cinepresa
lavora bene, non è necessaria alcuna lubrificazione.
Insomma,
una meccanica robusta e duratura, racchiusa in un corpo macchina
semplice e lineare quanto resistente, di rigoroso design teutonico.
Senza compromessi, se non - forse - quello estetico: non è
esattamente una bellezza. E non ci sono "fronzoli"
come l'esecuzione automatica di dissolvenze semplici o incrociate,
né la lettura automatica della sensibilità della
pellicola, mediante le tacche presenti sui caricatori. In
questa macchina, il cui comparto pellicola è incredibilmente
"vuoto", in quanto privo di microswitch ecc. (con
la sola eccezione di quello che inserisce il contametri),
la sensibilità si imposta con un selettore esterno.
L'eliminazione dei microswitch interni è sicuramente
andata a favore della semplificazione (e della affidabilità)
della parte elettronica relativa all'esposimetro.
Altre
curiosità che spuntano fuori spulciando fra le pagine
dei vari forum on-line, riguardano la particolare costruzione
del guidapellicola: a prima vista esso non sembrerebbe niente
di particolare, ma se si andasse a misurare con precisione
il suo spessore, si potrebbe verificare che esso presenta
un piano di scorrimento pellicola leggermente più sporgente
rispetto al solito; pertanto il gate va a incassarsi nel quadruccio
del caricatore un po' più in profondità; questo
provoca l'applicazione di una forza maggiore fra pressore
e film. La superficie del guidapellicola è lavorata
con precisione infinitesimale in modo da annullare o minimizzare
eventuali turbolenze nel trascinamento, dovute ad attrito
eccessivo, in caso di pellicola con condensa o caricatori
non perfetti. Inoltre il quadruccio di ripresa presenta -
appena accennato - un allargamento conico crescente verso
il lato perforazioni e - si dice - sia trattato con un rivestimento
duro e al tempo stesso scorrevole, simile al teflon. Il risultato
di tutti questi accorgimenti è un'immagine dalla stabilità
- verrebbe da dire - simile a quella di una diapositiva; scherzi
a parte, per quanto riguarda la stabilità, il potenziale
anello debole nell'uso di questa macchina è la sola
mano dell'operatore, qualora non fosse sufficientemente "felice"
e ferma.
Sull'otturatore
c'è da dire che ha un'apertura fissa di 163,5°
circa, un valore apparentemente strano, ma che in realtà
è perfettamente calibrato per ottenere esposizioni
per singolo fotogramma di 1/55" di secondo a 25 fps e
di 1/40" a 18 fps; questo, secondo i progettisti Leica,
facilita la vita quando si vuole usare un esposimentro esterno,
infatti talvolta si leggono sui manuali istruzione valori
strani come 1/43" o 1/37", che non sono presenti
sulle scale degli esposimetri. Si tratta di una pignoleria,
ma anche da questo si capisce l'amore per la precisione dei
tedeschi.
ESPOSIMETRO
L'automatismo esposimetrico prevede un indicatore ad ago di
corretta esposizione, visibile sulla parte superiore del mirino:
normalmente questo ago deve trovarsi nella posizione centrale;
alla sua destra il segno "+" indica sovraesposizione
mentre a sinistra il segno "-" indica sottoesposizione.
Lavorando in manuale, l'esposimetro incorporato continua a
misurare la luce in transito attraverso il diaframma (misurazione
"stop-down", ossia all'effettiva apertura di lavoro),
e a indicare all'operatore se, manualmente, deve aprire o
chiudere maggiormente il diaframma. Quando l'indice dell'esposimetro
si trova a fondo scala in un senso o nell'altro, si ha uno
scarto di un diaframma esatto rispetto all'esposizione consigliata.
Leicina
Special è dotata di una fotocellula al CdS di ottima
qualità che riceve luce da un prisma deviatore, da
non toccare assolutamente con le dita, pena il degrado delle
immagini filmate. Secondo le specifiche del manuale istruzioni,
il prisma ripartisce la luce nel modo che segue: 80% alla
pellicola, 10% al mirino e 10% all'esposimetro. La sua forma
è tale che prima di giungere alla pellicola, la luce
subisce un solo "furto" del 20% e solo dopo, questa
quantità di luce viene ulteriormente suddivisa tra
fotocellula e mirino. Quindi la "purezza" dei fasci
luminosi è davvero molto elevata, al punto che i tecnici
Leica poterono permettersi di inserire un filtro neutro che
entra in azione quando il filtro di conversione incorporato
n° 85 viene disinserito. Perché? Perché
in questo modo la precisione di fuoco è assoluta. La
taratura dell'esposimetro è abbastanza neutra e la
reattività del sistema a bruschi cambiamenti di luce
non appare particolarmente fastidiosa lavorando in automatismo.
Certo che su una macchina di questa classe avrei preferito
una fotocellula al silicio, ma non si può avere tutto...
La gamma di sensibilità gestibili in automatismo va
da 16 a 400 ASA. L'operatore deve ricordarsi di regolare l'apposito
selettore, ma date anche le sue generose dimensioni, non sembra
probabile dimenticarsi di questa incombenza. Il fatto di dover
impostare manualmente la sensibilità della pellicola
utilizzata, rende più semplice l'impiego di caricatori
di pellicola negativa assemblati dalla "Pro8" di
Burbank (Los Angeles) rispetto ad altre cineprese, poiché
questi caricatori sono privi di tacche esposimetriche (ma
nelle negative vendute dalla Kodak le tacche ci sono). Inoltre,
è altrettanto semplice introdurre sovra e sottoesposizioni
volute, di piccola entità, laddove su macchine come
Nizo 4056 e superiori, o Canon 814/1014 esiste un pomellino
apposito.
TRAGUARDAZIONE
Per facilitare la focheggiatura col sistema descritto poco
sopra, Leicina è dotata di tre diversi schermi di messa
a fuoco selezionabili a piacere in base ai gusti e/o necessità
dell'operatore: infatti è possibile scegliere fra telemetro
a spezzatura d'immagine obliqua, schermo a microprismi e croce
per focheggiatura a "immagine aerea". Ovviamente
non manca la possibilità di regolare il mirino entro
valori di ± 3 diottrie. Dopodiché stop! Sul
mirino non c'è altro da dire: niente spie che rammentino
all'operatore di aver dimenticato il filtro di conversione,
o la quantità di pellicola residua o le tante altre
cose normalmente presenti.
Però
una cosa da dire in effetti c'è: il test di copertura
da me effettuato dimostra che è davvero molto preciso,
nel senso che non solo si ritrova impressionato sul fotogramma
esattamente ciò che si era inquadrato nel mirino (o
al limite pochissimo di più, lungo i bordi, che viene
poi tagliato dal mascherino di proiezione), ma è anche
perfettamente in bolla: caratteristica ottima per filmare
i titoli, che con altre cineprese dal comportamento meno eccelso
(anche di nomi blasonati) potrebbero risultare pendenti per
un verso o per l'altro o non perfettamente centrati.
Poiché
questa macchina non è fornita di un otturatore a specchio
per la visione reflex, bensì, come già detto,
di un ottimo prisma, nel mirino si ha la comodità di
non vedere l'immagine che sfarfalla mentre si filma, pur conservando
la praticità del controllo diretto della P.d.C. dato
che il diaframma è posto all'interno dell'obiettivo,
quindi prima del prisma stesso. Non è visibile, invece,
la tinta arancione dovuta al filtro inserito, poiché
questo si trova a valle del prisma. Si tratta, come accennato,
di una cinepresa con l'esposimetro che lavora in modalità
"stop-down", ossia con il diaframma sempre aperto
all'effettivo valore di lavoro: di questo occorre ricordarsi
quando si focheggia, poiché se il diaframma fosse chiuso
a valori stretti, la messa fuoco non potrà essere del
tutto precisa. Per questo motivo l'unità di controllo
dell'obiettivo è dotata di un pulsantino rosso posto
sulla sua parte inferiore: premendolo si provoca l'immediata
apertura del diaframma al valore di 1.8 indipendentemente
dalle condizioni di luce e di sensibilità della pellicola,
per il tempo strettamente necessario a regolare la messa a
fuoco con la minor P.d.C. disponibile. Certamente occorre
farci un po' l'abitudine se si è abituati a macchine
di altro tipo.
PARCO
OTTICHE
La Leicina può montare quasi tutte le ottiche destinate
alle proprie macchine fotografiche a telemetro serie "M",
nonché, mediante adattatori appositi (invero abbastanza
rari), le ottiche del sistema Leicaflex, le Arriflex per il
16mm, le Minolta MD e le ottiche con attacco a vite 42x1.
Le ottiche Canon standard trovano posto sui medesimi adattatori
per gli obiettivi Leica, mentre è possibile comunque
montare le più recenti serie FL ed FD con l'ausilio
dell'adattatore Canon Converter-B.
Non è possibile montare le ottiche a passo "C",
quello a vite tipico delle cineprese 16 mm, per incompatibilità
dovuta al diverso tiraggio (distanza tra la parte posteriore
dell'obiettivo e il piano di scorrimento pellicola). Si tratta,
comunque, di un parco ottiche potenzialmente abbastanza vasto,
pur subordinato alla effettiva disponibilità dei necessari
adattatori, che però è possibile far fabbricare
appositamente.
La
macchina veniva fornita con un'ottica che è ormai una
leggenda nel S/8 lo Schneider Cinegon 1:1,8/10 mm: semplice,
privo di qualsiasi automatismo, compatto, leggero, pratico
e strabiliante dal punto di vista della risolvenza, poiché
dotato di una incisività che davvero richiede al S/8
di tirar fuori tutta la definizione di cui è capace.
La
forza di questo obiettivo, pur nelle limitazioni dovute all'uso
esclusivamente manuale che se ne può fare, sta nella
sua grande compattezza e leggerezza, qualità che lo
rendono più maneggevole e meno "invasivo"
dell'Optivaron fornibile quale accessorio. Inoltre presenta
una scala di fuoco davvero molto ampia che va dall'infinito
a circa 3 cm dalla lente frontale (12 cm se si prende in considerazione
la distanza dal piano di scorrimento della pellicola). Ha
una copertura di campo di 36x27 mm, come dire che è
possibile riempire il mirino con una diapositiva davanti a
questo obiettivo, ciò che rende possibile filmare piccoli
dettagli senza ricorrere ad alcun tipo di aggiuntivo.
L'altra
ottica veramente dedicata a questa cinepresa è un classico
del S/8: l'eccellente Optivaron 1:1,8/6-66mm, sempre di fabbricazione
Schneider, adattato dall'attacco "C", inizialmente
sviluppato per la Beaulieu, all'attacco baionetta Leica M.
In origine questo obiettivo poteva essere ordinato tanto con
l'unità di controllo zoom/diaframma automatico (Leicinamatic),
quanto in versione totalmente manuale. In pratica oggi l'unica
versione reperibile è la prima, e si comprende il perché:
l'unità di controllo è un vero aiutante che
semplifica notevolmente l'utilizzo della cinepresa, qualcosa
di cui non si vorrebbe davvero fare a meno. Inoltre la motorizzazione
dello zoom consente carrellate ottiche molto accurate e uniformi,
con la possibilità di variare la velocità da
lenta a veloce mediante un potenziomentro.
L'Optivaron per Leica è leggermente diverso, come scelta
dei vetri ottici, rispetto a quelli destinati alla rivale
francese: le tolleranze ammesse sono leggermente inferiori.
La versatilità di questo "vetro" è
accresciuta dall'uso del macro, che, a differenza della stragrande
maggioranza degli obiettivi S/8, non si ottiene spostando
lo zoom sul minimo valore grandangolare, bensì semplicemente
su una levetta aggiuntiva (v. foto) che sposta il gruppo ottico
posteriore dell'obiettivo rispetto al piano pellicola. Questo
consente ingrandimenti notevoli, fino a riempire il fotogramma
con un oggetto grande anche solo 23,5x17,7 mm, pur continuando
a focheggiare normalmente e senza precludersi la possibilità
di zoomare.
Da
un punto di vista fotografico, i primi test effettuati a confronto
tra queste due ottiche parrebbero evidenziare una leggera
differenza di contrasto e una maggior pulizia dei mezzitoni
in condizione di luce media (senza eccessivi squilibri di
illuminazione), a favore del Cinegon. Sempre su quest'ultimo,
l'immagine dà una sensazione di maggior cristallinità,
ma comunque anche il poderoso Optivaron se la cava egregiamente,
tanto che in assenza di un confronto diretto "fianco
a fianco", è davvero impossibile dire a occhio
quale obiettivo sia stato usato per filmare una certa scena.
Può darsi che dopo aver usato per qualche anno queste
ottiche mi debba ricredere, ma per il momento, per quanto
possa valere, ho questa impressione.
TRASCINAMENTO
Il motore principale movimenta un alberino lavorato al tornio,
completamente in metallo, che costituisce il cuore della meccanica.
Il motore è servocontrollato e presenta un generatore
di frequenza a garanzia della precisione di scorrimento.
Le velocità di ripresa sono quattro: 9, 18, 25 e 54
fps. Peccato che i 54 in realtà siano solo circa 45
fotogrammi al secondo (valore rilevato filmando un cronometro
digitale); al contrario la velocità di 25 fps è
davvero precisa e stabile, tanto che sono riuscito a duplicare
della pellicola, usando il mio proiettore Sankyo (regolato
esattamente a 25 fps), senza il benché minimo accenno
di pulsazioni luminose. Ovviamente è presente anche
lo scatto singolo. Alcuni esemplari in circolazione, comunque,
sono tarati effettivamente a 54 fps, ma per quanto se ne sa,
non c'è modo di saperlo a priori.
I
tempi di esposizione sono i seguenti:
9
fps: 1/20"
18 fps: 1/40"
25 fps: 1/55"
Una
cosa che non tutti sanno, è che Leicina Special è
fra le poche macchine a mantenere questi tempi anche filmando
a scatto singolo, laddove la maggioranza delle cineprese imposta
di default il tempo che si avrebbe filmando a 18 fps. La Casa,
comunque, dice di impostare il relativo selettore sempre su
questo valore quando si usa lo scatto singolo.
La
cinepresa è dotata anche di scatto di lunga durata
(posa "T"): premendo il pulsante di avanzamento
con trascinamento a fotogramma singolo, l'otturatore si apre
e resta aperto fino a una seconda pressione. Utile per filmare
il cielo o ambienti molto scuri senza movimento. Ovviamente
è di rigore un esposimetro esterno e, altrettanto consigliabile,
il "controller" ST-1 col quale è possibile
rendere perfettamente uniforme l'esposizione di ogni singolo
fotogramma con la posa "T", ed effettuare tutta
una serie di riprese intervallate, sia a cadenze continue
che a fotogramma singolo.
SISTEMA
SONORO
Ovviamente si tratta di una cinepresa muta, ma con l'uso dell'accessorio
ST-1, è possibile effettuare riprese in doppia banda
(scena + colonna) con sincronizzazione a impulsi 1:4, ossia
un impulso ogni quattro fotogrammi trascinati. La costanza
di trascinamento, però, è talmente elevata,
pur non essendo la macchina quarzata, che al giorno d'oggi,
usando un MiniDisk o un DAT (non senza un pizzico di fortuna)
si ottengono buone sincronizzazioni senza particolari accorgimenti,
se non quello di ritoccare il sync in fase di montaggio digitale,
accorciando o allungando di pochi frame la colonna sonora.
QUALCHE
CRITICA
Poiché la cinepresa perfetta non è mai stata
costruita, e questa Leicina non fa eccezione, vediamo in cosa
la Fabbrica di Oskar Barnack avrebbe potuto dare qualcosa
di più senza tradire l'impostazione filosofica alla
base del progetto.
Il
punto davvero dolente di questa cinepresa, a parere di chi
scrive, è l'aspetto ergonomico, in quanto, pur perfetta
per riprese su stativo, non si può dire che i progettisti
si siano sprecati nel tenere in considerazione perfino le
più semplici esigenze di una ripresa a mano libera,
a differenza di quanto asserito sul manuale istruzioni. Infatti
non potrei nemmeno parlare di una vera impugnatura: sul fondo
della macchina è presente una "bacchetta"
incernierata che si integra perfettamente col fondo stesso.
Quando occorre "impugnare" la macchina a mano, questa
bacchetta, priva di qualsiasi riguardo per l'anatomia della
mano, viene sbloccata e si colloca in posizione esattamente
verticale. Il suo spessore la rende ciò che di più
lontano io abbia mai visto rispetto a una vera impugnatura.
Sicché è necessario ricorrere a un qualche tipo
di spallaccio per avere un vero punto di appoggio: l'accessorio
delle Nizo mute, un supporto a spalla richiudibile davvero
interessante, può senz'altro essere d'aiuto. Ancora
di più, lo spallaccio originale della stessa Leica,
che presenta un'impugnatura a movimento fluido con cui non
è difficile realizzare panoramiche accettabili anche
senza stativo. Abbastanza raro, purtroppo.
Poco
leggibile la scala del contametri e poco utile il contafotogrammi
a cui avrebbe giovato la possibilità di azzeramento.
E infine la realizzazione di dissolvenze incrociate è
un po' macchinosa, specie lavorando in manuale, dato che la
macchina si serve della variazione dell'apertura di diaframma,
piuttosto che della più raffinata soluzione della chiusura/apertura
dell'otturatore.
Probabilmente
è l'unica macchina che riesce a eseguire dissolvenze
anche lavorando in manuale (si sentirebbe, invero, l'esigenza
di una terza mano...) cosa normalmente preclusa, per esempio
alle Nizo, alle Sankyo e a molte altre macchine, in cui il
disinserimento dell'automatsmo esposimetrico esclude anche
il collegamento fra l'elettronica di controllo e il servomotore
del diaframma, rendendo possibile l'esecuzione di dissolvenze
solo in automatismo.
Ecco
come si deve procedere: mentre si filma usando la mano destra
per tener premuto il pulsante di scatto, con l'altra mano
si deve premere l'apposito tasto (v. foto soprastante): esso
farà marciare la cinepresa ancora qualche secondo,
impedendo la raccolta nel caricatore della pellicola appena
esposta; contemporaneamente l'automatismo dell'obiettivo causerà
la progressiva chiusura totale del diaframma. Quindi la cinepresa
si bloccherà da sola e sempre da sola, riavvolgerà
la stessa quantità di pellicola, per poi predisporsi
alla esecuzione della seconda parte della dissolvenza. Ovvio
che operando in manuale, bisognerà trovare il modo
di azionare anche la ghiera del diaframma, da cui l'esigenza
di una terza mano. Il tasto di scatto sulla parte superiore
del corpo macchina è dotato, però, di blocco
di marcia continua e questo può aiutare.
E
con questo credo di essermi dilungato a sufficienza sulle
critiche; onestamente non riesco a trovarne altre.
Per
concludere c'è da dire che si tratta di una gran bella
macchina, ma non per chi deve cominciare, specie se ha scarne
competenze fotografiche. Leicina si rivolge a un utente con
un minimo di esperienza, viste le peculiarità operative
che essa richiede. E' la macchina perfetta per l'amatore evoluto
che mette al primo posto qualità e affidabilità,
anche a costo di sacrificare un po'la praticità. Del
resto la somma da sborsare per comprarne una oscilla dai circa
€ 300 in su, per cui non è certo un oggetto di
curiosità per chi vuol solo cominciare a vedere la
resa del piccolo formato.
Consigliabilissima,
invece, a chi ha già un certo percorso alle spalle
e vuole una macchina che gli garantisca la performance, nel
deserto come sulla vetta innevata di una montagna.