Vorrei
dare inizio, con questo contributo, a una serie di interventi
teorici della "soffitta", tesi a trattare di questioni
tecniche connesse sia con la ripresa sia con la proiezione.
Si tratterà, in qualche caso, di relazioni aventi
per oggetto la disanima di soluzioni tecniche (anche a confronto
fra diversi marchi e modelli) relative a varie problematiche
della catena di riproduzione cine S/8. In altri casi, si
tratterà di soluzioni del tutto teoriche e "originali"
(inedite), ovverosia di pure speculazioni - ahimé
- su possibili accorgimenti che i costruttori avrebbero
forse potuto sviluppare, se la ricerca in questo campo non
si fosse esaurita alle esperienze maturate fino a oltre
vent'anni fa. Non schede tecniche, quindi, di apparecchi
vari come quelle viste fin qui (che pure non mancheranno
in un prossimo futuro), bensì osservazioni tecniche
di varia natura. Come prima "uscita", vorrei occuparmi
dei vari sistemi di lettura TTL ("Through The Lens",
ossia attraverso l'ottica) delle cineprese S/8.
Vorrei
cominciare da qui perché probabilmente non tutti
sanno che, nell'ambito del TTL, esistono due diversi sistemi
di lettura i quali, in qualche misura, possono influenzare
sia la qualità (definizione) dell'immagine che raggiunge
il piano pellicola, sia la quantità di luce che vi
arriva (e quindi, in definitiva, la possibilità o
meno di lavorare a diaframmi più chiusi o con un
minor livello di illuminazione). Ma soprattutto, il "prestigio"
dell'apparecchio. Prima, però, qualche considerazione
preliminare.
Il Super 8, salvo errori ed omissioni, è l'unico
formato cinematografico a passo ridotto che, fin da stadi
progettuali iniziali, nasce con l'idea di rendere possibile
l'esposizione automatica con la massima facilità
per l'utente. In verità si erano già visti
vari modelli di cineprese dotate di esposizione automatica
nel formato 2x8 (poi chiamato 8 mm standard, o "Regular
8" negli USA), ma il corretto funzionamento era subordinato
all'impostazione della giusta sensibilità di pellicola
in macchina, mediante qualche ghiera, della cui esistenza
talvolta era sorprendetemente facile dimenticarsi. Con l'intento
di facilitare al massimo la vita dell'utente (la stessa
idea di usare un caricatore a prova di luce nasce proprio
da questo; non dimentichiamo che ciò non era possibile
col 2x8 e che per giunta a metà rullo era necessario
invertire le bobine e caricare nuovamente la cinepresa),
si pensò di aggiungere la possibilità, invero
non sempre poi sfruttata da tutti i costruttori, di far
sì che la cinepresa si "settasse" automaticamente
sul giusto valore sensitometrico della pellicola di volta
in volta utilizzata. Infatti lo stesso caricatore fu progettato
con una serie di tacche che servono alla cinepresa per "leggere"
la sensibilità dell'emulsione in esso contenuta,
grazie a una serie di microswitch posti nel vano pellicola.
Minore la sensibilità, più corta la tacca,
maggiore il numero di microswitch azionati, e viceversa.
Basandosi su questo principio, anche la cinepresa più
economica era ed è in grado di adattare il proprio
circuito esposimetrico alla rapidità della pellicola
prescelta, in relazione alle condizioni di ripresa e alla
presenza o meno del filtro di conversione (che ovviamente
assorbe luce, circa un terzo di stop).
In pratica, quasi tutte le cineprese erano in grado di riconoscere
almeno due tipi di emulsione, quelle più diffuse,
e di commutarsi per l'uso in luce diurna fra 25 e 100 ASA
(40 e 160 in luce artificiale) rispettivamente per il Kodachrome
40 e l'Ektachrome 160. Questo nell'intento di semplificare
il più possibile la vita del "cineoperatore"
che nella stragrande maggioranza dei casi era il classico
padre di famiglia, senza troppe nozioni fotografiche, e
tutt'altro che voglioso di complicarsi la vita nel filmare
soprattutto i propri figli. Comprensibilmente, del resto
Oltre
a questo "sistema a tacche", inizialmente il sistema
adottato dalla totalità dei costruttori per la lettura
della luce, prevedeva una fotocellula posta nelle immediate
vicinanze dell'obiettivo. Vantaggio: semplicità costruttiva.
Svantaggi: non sempre (specie con l'uso di obiettivi a focale
variabile) la luce che giungeva a queste cellule corrispondeva
all'esatta situazione-luce inquadrata dall'obiettivo di
ripresa; senza contare che alle volte si correva il rischio
di coprirle parzialmente con uno o più dita, semplicemente
impugnando la cinepresa. Per cui, nelle macchine delle generazioni
successive, e col diffondersi di ottiche zoom via via più
spinte, si cominciò a usare una soluzione già
sperimentata sulle fotocamere reflex: la lettura TTL.
Normalmente,
quando la lettura dell'esposimetro è di questo tipo,
nel sistema di traguardazione di una cinepresa sono necessari
non uno, bensì due deviatori ottici: uno a monte
(ossia prima, dal punto di vista del percorso dei raggi
luminosi) del diaframma, per il mirino; e fin qui niente
di strano, in quanto ciò è esattamente quel
che accade solitamente nelle macchine dotate di mirino reflex.
Il secondo deviatore ottico, posto subito dopo il diaframma,
serve per "dirottare" una certa quantità
di luce verso la fotocellula, dato che questa in qualche
modo deve pur rendersi conto di quanta luce arriva alla
pellicola. Sembrerebbe niente di particolarmente "doloroso",
ma se guardiamo al problema dal punto di vista dello sfruttamento
massimo della capacità risolvente del S/8, le cose
stanno un po' diversamente, perché un deviatore ottico
in più introduce, seppure in misura minima, una diminuzione
della capacità di trasferimento dei raggi luminosi
in tutta la loro purezza. Si tratta di un aspetto che evidentemente
per qualche costruttore era di importanza non secondaria,
tant'è che nelle Bealieu, progettate per non avere
compromessi da questo punto di vista, grazie all'otturatore
a specchio con movimento a ghigliottina, è stato
eliminato persino il deviatore ottico per il mirino: solo
così il 100% della luce può arrivare alternativamente
alla pellicola o al gruppo mirino/cellula esposimetrica.
E si tratta del 100% della luce col 100% della purezza.
Un aspetto forse ancor più importante di quello connesso
alla purezza di immagine, è il "furto"
di luce introdotto dal prisma relativo all'esposimetro,
che ovviamente si somma al furto pro-mirino. La perdita
totale, a seconda della bontà del materiale usato
per i prismi, può essere anche pari a un diaframma
o più. Valori che in certi casi possono fare la differenza
fra una scena ben girata e una scena sottoesposta, o comunque
impossibile da girare per insufficienza di luce.
Per ovviare a questo problema, la Nizo realizzò un
sistema TTL privo di deviatore ottico sulle proprie cineprese
direct-sound: in queste macchine (dalla Integral 5 fino
alla 6080) l'unico deviatore ottico presente nel sistema
di traguardazione è quello relativo al mirino. Ma
allora come fa la cellula (incidentalmente: una pregevole
fotoresistenza al silicio) a leggere la luce che arriva
sul piano pellicola? Il sistema è veramente ingegnoso:
come si sa nella stragrande maggioranza delle cineprese
S/8, l'otturatore non è altro che un dischetto di
plastica con un settore aperto di una certa ampiezza. Ebbene
nelle Nizo il lato opaco rivolto verso l'obiettivo non è
parallelo al piano del film, bensì è inclinato
verso l'alto di 45° ed è rivestito con una sorta
di vernice riflettente. In questo modo la luce proveniente
dall'obiettivo viene deviata verso la fotocellula posta
a breve distanza, in modo da intercettare tutta la luce
riflessa dall'otturatore chiuso. Il sistema ovviamente funziona
alla perfezione anche mentre la pellicola viene impressionata,
solo che in questo caso, a otturatore aperto, il 100% della
luce residua (non rubata dal mirino) finisce sul film, mentre
a otturatore chiuso quella stessa quantità di luce
finisce alla cellula. I vantaggi dovrebbero essere evidenti:
minori distorsioni e minor sottrazione di luce alla pellicola.
Infatti le Nizo sonore sono le poche cineprese davvero XL
con un otturatore di soli 200° (invece di 220-230°),
ma la quantità di luce che arriva sul film è
la stessa di cineprese con otturatore più ampio.
Stupisce anche il fatto che questa caratteristica - credo
esclusiva - delle Nizo è appena menzionata sui depliant
pubblicitari (da cui è stato tratto il diagramma
che segue): laddove si mostra la struttura ottica delle
macchine, si accenna al fatto che c'è uno specchio
concavo sull'otturatore; stranamente non è prevista
alcuna descrizione che evidenzi l'importanza di questa caratteristica.
E
che sia una caratteristica importante è evidente,
almeno in teoria: in uno standard di ripresa che usa un
fotogramma di circa 4 x 5 mm di grandezza, e la cui sensibilità
deve necessariamente essere contenuta (per non "sgranare"
troppo l'immagine), ogni singolo elemento che può
concorrere a far guadagnare luce senza inficiare la definizione
è senz'altro il benvenuto.
In definitiva, come "efficienza" nel far arrivare
alla pellicola la massima quantità possibile di luce,
la Nizo si pone senz'altro ai vertici, preceduta solo dalla
Bealieu; è facile verificare in automatismo, e per
soggetti di luminosità assolutamente uniforme (per
evitare che il confronto sia falsato da differenze di copertura
nella lettura esposimentrica, tipo spot, semispot o media),
come il sistema esposimetrico della Nizo imposti aperture
di diaframma sempre un po' più chiuse di circa mezzo
stop rispetto alle altre cineprese - Bealieu a parte - anche
se non sempre i valori f/ risultano coerenti in assoluto
fra i vari marchi. Meno apprezzabile, invece, il guadagno
in termini di definizione, come testimonia il test/match
fra una 6080 e una Canon 1014 XL-S (macchina con traguardazione
TTL tradizionale, cfr. schema in alto): nel confronto la
nipponica sembrerebbe fare perfino un po' meglio della tedesca.
Insomma anche in questo caso non è facile dare un
giudizio univoco sulla bontà di una soluzione tecnica
senza lasciarsi influenzare: sicuramente la tecnica Nizo
è più avanzata dei concorrenti e quindi, come
si diceva all'inizio, ne aumenta il prestigio. Ma alla prova
dei fatti, mediamente le differenze sono difficilmente rilevabili,
a meno che non si debba frontaggiare una situazione-luce
particolare, di potenziale sottoesposizione. D'altro canto
perfino la Leica non si preoccupò di usare deviatori
ottici nelle sue Leicina, che pure hanno obiettivo intercambiabile.
Una curiosità: nelle Nizo mute di fascia medio alta,
come le 561, 800 e 801/Professional, la lettura esposimetrica
è in effetti TTL a dispetto di ciò che farebbe
sospettare l'ampia finestra posta frontalmente al cabinet
subito sopra l'ottica; essa serve solo per far arrivare
luce alla scala di indicazione diaframmi in uso, presente
nel mirino, e a ospitare una cellula aggiuntiva che funziona
con la posa B. Per il resto sono delle TTL a tutti gli effetti.
Infine, a compendiare il sistema di traguardazione Nizo,
accludo le foto di un ricambio: il gruppo servomotore/diaframma
della Nizo 6080, in cui sono visibili anche la maschera
mirino e la scala diaframmi. Senz'altro un bel capolavoro
di microingegneria, per quei tempi.