NIZO
INTEGRAL 5: LA PICCOLA DI CASA BRAUN
Quando
la Nizo entrò nel mercato delle cineprese Super 8 sonore
(cosa che non avvenne immediatamente dopo il lancio del nuovo
sistema "single system"), presentò prima
la 1048 e poco dopo la 2056; entrambe erano macchine di classe
medio alta dal prezzo intorno alle 800.000 lire. Si era nella
seconda metà degli anni Settanta e c'era bisogno di
un apparecchio più abbordabile, anche privo di molti
fronzoli, ma con la tradizionale qualità Nizo. Fu così
che la casa di Francoforte decise di presentare una nuova
linea di cineprese caratterizzate da un'ottica comunque molto
buona, ma dalle funzioni semplificate rispetto al passato,
e indirizzate principalmente al padre di famiglia, ma anche
al dilettante più o meno evoluto, che magari avrebbe
potuto usarla come seconda macchina. Stiamo parlando della
serie "Integral", l'ultima prodotta dalla casa tedesca,
che al di là della bontà tecnica, si distingueva
(soprattutto in vetrina) per il design innovativo ed estremamente
gradevole.
La serie si compone di quattro modelli denominati Integral
5, Integral 6, Integral 7 e Integral 10, che differiscono
fra loro solo per l'escursione focale degli obiettivi Schneider.
Focale 8 40 mm per la "5" (5x), 8 48 mm per la "6",
7 50 mm per la "7" e 7 70 mm per la "10".
Tutte le ottiche hanno possibilità di macro fino alla
lente frontale, e, a parte quella della Integral 10, che ha
luminosità massima f: 1,4, le altre ottiche arrivano
a f: 1,2. Gli otturatori hanno tutti un'apertura di 200 gradi,
quindi moderatamente XL. Considerato il pubblico a cui era
destinata questa famiglia di cineprese, non stupisce che il
modello più diffuso sia la più "piccola",
sicuramente più abbordabile (il costo nell'83 si aggirava
fra le 500.000 e le 570.000 lire); pertanto ci occuperemo
più specificamente di questo modello.
Abbiamo accennato al design di questa cinepresa: si tratta,
per quanto ne sappiamo, della prima macchina senza viti a
vista, i cui interruttori e selettori sono disposti in modo
estremamente ergonomico e razionale: essi sono raggruppati
tutti sul lato sinistro del corpo macchina, cosiché
basta un colpo d'occhio su questo lato per capire lo stato
di settaggio della cinepresa. Inoltre sono costituiti esclusivamente
da cursori (in numero di cinque) a scorrimento verticale,
ciascuno bloccabile su tre posizioni. Da sinistra a destra,
essi controllano rispettivamente le seguenti funzioni: inserimento
e selezione della frequenza dell'intervallometro per lo scatto
singolo (uno scatto ogni cinque secondi oppure ogni quindici);
cursore per il disinserimento del filtro di conversione, combinato
con il compensatore per il controluce; cursore del disinserimento
diaframma automatico e relativo controllo manuale, combinato
con dispositivo per dissolvenze; cursore per la selezione
della cadenza di ripresa; cursore di selezione sensibilità
livello audio. All'estrema destra troviamo la finestrella
circolare del contametri, lievemente sporgente quanto i cursori
e perfettamente
raccordata a questi. Quando tutti i cursori sono allineati
sullo scatto centrale, la cinepresa funziona nel modo più
elementare che si possa immaginare: diaframma automatico,
cadenza di 18 f/s, sensibilità standard del microfono,
filtro arancione inserito e timer disinserito. La scheda tecnica
completa il quadro delle possibilità di questa cinepresa.
Zoom: Schneider Macro Variogon f: 1:1,2 8 40 mm, manuale ed
elettrico a una velocità; escursione completa in 8''.
Mirino: reflex regolabile entro ±5 diottrie. Messa
a fuoco: telemetro a spezzatura d'immagine (orizzontale).
Esposimetro: TTL al silicio. Esposizione: automatica o manuale.
Funzione backlight: +1 stop. Otturatore: elettromagnetico
con apertura di 200° (motore a controllo di frequenza).
Segnali visibili nel mirino: regolare trascinamento, fine
pellicola, diaframmi, sovra sottoesposizione, picchi del livello
di registrazione. Cadenze di ripresa: 18 e 24f/s + fotogramma
singolo. Timer: avanzam. automatico di un fot. ogni 5 o 15
sec. Dissolvenze: automatiche in apertura e chiusura accoppiate
al sonoro. Contametri: sottrattivo, graduato in metri a passi
di 3 m. Attacco per telecomando: elettrico. Attacco per flash:
disponibile. Attacco per cavalletto: 1/4''. Ingressi audio:
microfono o linea (entrambi tramite adattatore opzionale).
Microfono in dotazione: telescopico a cardioide. Uscite: cuffia
o auricolare. Controllo livello di registrazione: automatico,
regolabile su tre sensibilità: mic normale, mic ridotto,
linea. Risposta in frequenza: 40...15.000 Hz. Rapporto S/N:
55 dB. Wow & Flutter: non superiore allo 0,4%. Caratteristiche
particolari: funzione macro fino alla lente frontale; possibilità
di montare l'aggiuntivo Nizo UWL II. Alimentazione: quattro
pile AA per tutte le funzioni meccaniche ed esposimetriche
(alloggiate nell'impugnatura e sostituibili anche da elementi
al Ni Cd), e una batteria da 9 V per l'amplificatore sonoro
(alloggiata nel basamento); test batterie.
Come si vede, niente di sbalorditivo, anche se c'è
tutto l'essenziale. Inoltre tutti gli obiettivi hanno ottime
prestazioni, e la precisione di trascinamento non ha assolutamente
nulla da invidiare alle sorelle maggiori, inclusa la "superdotata"
6080. Chi scrive ha avuto modo di osservare entrambi i gruppi
di trascinamento e le differenze sono minime. Evidentemente
la Nizo profondeva la medesima cura sia nei modelli di fascia
alta che in quelli di gamma bassa. Ad esempio il guidapellicola
della Integral 5 è identico a quello della 6080, in
acciao splendidamente rifinito; e identici sono anche le griffe
e il sistema di trasmissione a cinghia a sezione triangolare,
con sistema di stop dell'otturatore ad arpioncino attivato
da un elettromagnete. Diversi invece sono i motori, forse
perché nella serie Integral non occorre arrivare ai
54 f/s dei modelli superiori.
Nella sezione sonora, invece, le differenze sono più
evidenti: mentre nella 6080 è presente un solenoide
per il posizionamento del pinch roller contro il capstan,
nella serie Integral il compito di pressare la pellicola contro
il capstan è demandato allo stesso interruttore di
scatto, tramite un sistema a leva; va notato, però,
che una soluzione raffinata come quella della 6080 sarebbe
stata, in questo caso, del tutto inutile, dato che l'impugnatura,
che è quasi orizzontale, non è snodata come
quello della sorella maggiore.
Il volano del capstan, anche qui azionato da un motore identico
a quello dell'otturatore, ha un diametro molto inferiore a
quello della 6080, cosa che, però, non sembra inficiare
la stabilità dell'immagine sonora. Infine l'intero
cabinet, che nella sorella maggiore è totalmente in
metallo, qui è in plastica, e la scala dei diaframmi
all'interno del mirino riceve luce dalla scena inquadrata,
invece di essere retroilluminata da un'apposita lampadina.
A proposito di mirino, però, va notato che rispetto
a quello delle concorrenti più vicine come prezzo,
spicca la sua maggior raffinatezza: ad esempio la spia di
regolare trascinamento è costituita da un vero led
(verde) che si accende a intermittenza, mentre in macchine
come la Canon 514 XL S o la Sankyo XL 420/620 (sue naturali
concorrenti), un effetto simile è ottenuto otturando
a intervalli regolari un forellino attraverso il quale passa
la luce proveniente dall'obiettivo. Rispetto alla Canon, inoltre,
il mirino è grande quasi il doppio.
Sempre rispetto alle concorrenti, troviamo la Integral 5 molto
più accattivante: snella, leggera, maneggevole, affidabile
e facile da usare, non è difficile "innamorarsene".
Malgrado ciò, cercherò di mantenere un minimo
di obiettività, passando subito a quelli che, secondo
me, sono gli elementi meno riusciti della macchina.
PUNTI DOLENTI
In testa c'è sicuramente il controllo manuale del diaframma
(a quanto pare tallone d'Achille in tutte le Nizo sonore!):
come già accennato, il cursore relativo a questa funzione
scorre verticalmente su tre posizioni, fra le quali la centrale
corrisponde all'automatismo di diaframma. Volendo disinserirlo
per procedere a una regolazione manuale, il cursore va spinto
verso l'alto se si desiderano diaframmi più aperti,
verso il basso, se si desiderano diaframmi più chiusi:
fin quando si esercita una pressione sul cursore (elastico),
la scala dei diaframmi nel mirino si sposta in un senso o
nell'altro come indicato; terminata l'operazione, l'apertura
viene bloccata su un certo valore. Ma se non si riesce a bloccare
la scala esattamente all'apertura desiderata e questa "sorpassa"
il diaframma che ci interessa, bisogna tornare indietro, e
per far ciò occorre passare attraverso la posizione
"aut". Se quest'operazione non è compiuta
con rapidità, la scala può tornare nel frattempo
a un'impostazione molto diversa da quella voluta, costringendoci
a ripetere tutta la regolazione. Perlomeno, però qui,
a differenza della 6080, la variazione dei diaframmi avviene
con maggior lentezza a vantaggio della facilità e della
precisione di impostazione. Il cursore, però, non sembra
essere tanto robusto da sopportare ritocchi troppo frequenti
o interventi indelicati.
Altro punto debole è l'eccessiva facilità con
cui i semicerchi del telemetro del mirino possono oscurarsi
se la macchina non è tenuta perfettamente in orizzontale.
Poi, analogamente a quanto accade negli apparecchi più
costosi di questa casa, non è possibile effettuare
dissolvenze se il diaframma è regolato manualmente.
Infine così com'è, la macchina non è
assolutamente in grado di accettare microfoni esterni o prolunghe
per avvicinare il microfono alla sorgente sonora, mantenendo
la cinepresa a distanza dal soggetto; tantomeno è possibile
collegare via cavo un registratore audio o un mixer. Per fare
tutto questo, è necessario sostituire all'ottimo microfono
telescopico in dotazione (alloggiato nientedimeno che nell'impugnatura,
in mezzo alle pile), un apposito adattatore. Esso ha la stessa
forma della sezione finale del microfono (quella che va normalmente
inserita nell'impugnatura), cioè un sottile cilindro
(1,3 cm di diametro per circa 15 cm di lunghezza). Su una
delle estremità trovano posto i contatti che vanno
a collegarsi ai terminali sul fondo dell'impugnatura, mentre
all'estremità opposta è presente una presa femmina
DIN a nove poli, alla quale si possono collegare tutti i microfoni
a media impedenza e cavi audio da connettere ad apparecchi
con uscita a livello di linea (in questo secondo caso, il
selettore del livello sonoro va spostato su "phono").
Riguardo a questo selettore c'è da fare un piccolo
appunto al manuale istruzioni; su di esso, infatti, è
spiegato che il selettore va spostato su "phono"
quando, lavorando col microfono e disponendo della batteria
dell'amplificatore e di un caricatore sonoro in macchina,
si desidera escludere la registrazione audio. Alla prova dei
fatti lo stratagemma funziona, ma solo perché la sensibilità
dell'amplificatore così impostata è molto inferiore
a quella necessaria per registrare dal microfono; altrimenti
detto, se in queste condizioni, tramite l'accessorio di cui
si è parlato, fosse collegata una sorgente "alto
livello" (come una piastra di registrazione, un mixer
o un CD player), la registrazione audio avrebbe luogo, perché
la posizione "phono" è studiata proprio per
questo, non per escludere il sonoro dal microfono. E questa
è solo una delle tante approssimazioni (soprattutto
di tipo lessicale) presenti sul manuale istruzioni.
Un'ultima osservazione riguardante il sonoro è che
l'ubicazione esteticamente felice del microfono telescopico,
non si rivela altrettanto felice in quanto a funzionalità;
difatti proprio per questa sua collocazione e per la risonanza
intrinseca del cabinet della cinepresa, una seppur minima
parte delle vibrazioni prodotte dal motore e dalla pellicola
viene captata dal microfono. La posizione "low mic"
del selettore di livello sonoro riesce a minimizzare questo
inconveniente quando si filma in ambienti con bassi livelli
di pressione acustica (cioè quando questo inconveniente
sarebbe più fastidioso), ma non può sempre far
miracoli. Ecco, purtroppo, un esempio di funzionalità
sacrificata in nome del design. Possono sembrare osservazioni
oziose dato che i caricatori sonori non sono più fabbricati,
ma quanto precede andava detto per completezza di informazione.
PRESTAZIONI
Esaurita la sezione "punti dolenti", passiamo alle
lodi. Avendo usato questa macchina per più di venti
anni (è stata la mia prima cinepresa), posso evitare
di effettuare specifiche prove sul campo. La stabilità
di trascinamento sia a 24 che a 18 f/s, nonché a fotogramma
singolo, è degna di macchine molto più costose;
la silenziosità è anch'essa molto buona, anche
se non quanto quella della 6080.
L'ottica è eccellente, pur nella sua limitata escursione
focale; volendo essere cattivi, si potrebbe effettuare (come
ha fatto chi scrive) un confronto fra l'obiettivo della Integral
5 (alla massima focale tele) e l'obiettivo della 6080 (alla
focale di "soli" 40 mm). Chi si aspettasse chissà
quali differenze, rimarrebbe deluso, perché la resa
della piccola non ha nulla da invidiare a quella della sorella
maggiore, anzi direi che sono perfettamente equivalenti. Naturalmente
si tratta di un giudizio soggettivo, non supportato da misure
di laboratorio, ma è sempre vero che quando si guarda
un film si presta attenzione all'impressione della resa globale,
piuttosto che alle linee per millimetro, e da questo punto
di vista, non c'è nulla da criticare. I colori sono
sempre ben saturi, i riflessi interni molto contenuti (attenzione
a oscurare il mirino filmando a scatto singolo e col timer),
e la risoluzione elevata. La qualità, però,
scade notevolmente nell'uso con lenti addizionali accoppiate
(+1, +2, +3), a diaframmi più aperti di 5,6.
Per quanto riguarda l'esposimetro, questo appare di un'anticchia
sottotarato rispetto alla 6080, ma ciò è evidente
solo dal confronto diretto tra le due. L'esposimetro non è
troppo veloce nell'adattarsi alle varie condizioni di luce
(in questo la 6080 sembra imbattibile), ma è uniformemente
sensibile alle varie lunghezze d'onda, grazie alla cellula
al silicio.
Il sonoro è un po' meno cristallino della sorella maggiore,
e soprattutto un po' meno stabile (anche se stiamo cercando
davvero il pelo nell'uovo), mentre è perfino meglio
per quanto riguarda il fruscìo indotto dalla corrente
di premagnetizzazione.
CONCLUSIONI
La piccola di casa Nizo si è sempre dimostrata all'altezza
del nome che porta: la qualità è elevata, e
il costo contenuto ripaga ampiamente dell'assenza di alcune
funzioni accessorie (se solo potesse eseguire le dissolvenze
incrociate!), sì da renderla caldamente consigliabile
a chi si accosta al mondo del Super 8 o a chi desidera una
macchina "leggera" da affiancare alla cinepresa
più blasonata che già possiede. Per i primi,
si tratta di entrare nel mondo del S/8 dalla porta principale,
grazie a un costruttore di cineprese che, attivo a Monaco
di Baviera fin dal 1924, era diventato leggendario; per i
secondi significa avere la certezza di poter completare un
lavoro impegnativo qualora la macchina principale avesse problemi,
senza molto da sacrificare in fatto di comfort operativo ed
efficacia.